Ci sono storie che fanno bene al cuore, e che si vorrebbe veder pubblicate su ogni quotidiano, anche solo come riposante intermezzo tra le vicende di un politico corrotto, le quotazioni sempre in calo delle borse e le funeste previsioni riguardo al nostro imminente futuro.
Ma a raccontarle, queste storie, si rischia che la principessa venga rinchiusa nella torre, che il fidato scudiero venga bandito dal regno e che il giardino incantato torni ad essere una selva oscura, così ci si deve accontentare di trasformarle in favole, da raccontare la sera ai bambini, per rassicurarli che ancora, talvolta, il bene riesce a prevalere sul male, la giustizia sulla legge, il buon senso sulla stupidità.
Dunque…c’era una volta a Firenze un grande giardino monumentale che, abbandonato per anni, era andato in rovina, trasformandosi in uno spazio trascurato e incolto.
Nessuno se ne curava, né i proprietari, che avrebbero voluto abbattere tutti gli alberi e pavimentarlo per risparmiare sulla manutenzione; né il Comune, contento di non averlo (almeno quello!) sulla propria lista spese, né i fiorentini, sempre troppo di fretta, quando gli sfrecciavano accanto con le loro auto, per accorgersi che il giardino stava morendo, assieme ad un altro pezzo della loro storia.
Un giorno, da un paese lontano, arrivò Hope (la chiameremo così), giunta a Firenze per studiare le opere di una famosa poetessa che quel giardino aveva così amato, da scegliere di rimanervi per sempre.
Hope ne divenne la custode, ma non si dava pace del fatto, ai suoi occhi inconcepibile, che un luogo tanto bello fosse stato abbandonato, nel completo disinteresse generale.
Ma una mattina, ad un semaforo appena fuori dal giardino, Hope vide un “viandante”, un’anima nomade (lo chiameremo Will) che per sopravvivere chiedeva l’elemosina agli automobilisti che a quell’angolo di strada arrestavano per un istante la propria corsa, prima di scappare via di nuovo, incuranti di lui, della disperazione di Hope e della rovina del giardino.
A Will mancava un lavoro, a Hope serviva un aiuto: fu quindi naturale ritrovarsi fianco a fianco nel giardino, intenti a togliere erbacce, piantare fiori, restaurare arredi, muretti e percorsi.
Nei giorni seguenti Will presentò a Hope altri viandanti suoi amici, ma Hope aveva solo la propria pensione da offrire, e le poche donazioni di vecchi e lontani amici del giardino.
I nomadi accettarono ugualmente di lavorare e di mettere a disposizione il proprio entusiasmo e le tante competenze, e in cambio chiesero a Hope di insegnare a loro e ai loro figli a leggere e a scrivere.
Il patto fu siglato: ed era cosa tra gentiluomini, chè di contratto di lavoro non si poteva parlare, perché i viandanti non avevano dimora fissa, né molte delle altre cose importanti che servono per poter lavorare e pagare le tasse.
Il giardino in breve rifiorì e tornò alla vita: forse non proprio come la Soprintendenza avrebbe prescritto e approvato, ma sempre meglio dello stato di abbandono in cui sarebbe senza dubbio rimasto aspettando disposizioni, firme, bolli, fondi e interventi da parte dell’Amministrazione o dello Stato.
Oggi Hope è felice, perché il “suo” giardino (e di tutti i fiorentini) è finalmente tornato a vivere. Ma come ha fatto a compiere il miracolo non può raccontarlo a nessuno. E nemmeno di Will e dei suoi amici. Ed è un vero peccato!
