Nell’immaginario comune non c’è forse niente di più lontano da un giardino, di una desolata area a parcheggio, completamente pavimentata, impermeabile, generalmente arroventata sotto il sole estivo e battuta dalla pioggia e dai venti gelidi nella stagione invernale. Un luogo dove abbandonare l’auto, ma nel quale sostare il più breve tempo possibile.
Eppure i parcheggi rappresentano oggi uno dei “paesaggi” più comuni e frequentati, sia in ambito urbano che extraurbano.
Nel suo recente saggio, Eran Ben-Joseph, professore di Urban Planning all’M.I.T, evidenzia infatti come “in some U.S. cities, parking lots cover more than a third of the land area, becoming the single most salient landscape feature of our built environment” (Eran Ben-Joseph, ReThinking a Lot.The Design and Culture of Parking, MIT press, 2012).
Tuttavia architetti e urbanisti non sembrano prestare grande interesse a questi spazi, che però sono, a tutti gli effetti e nella maggioranza dei casi, spazi pubblici. Numero, funzionalità, distanze minime sembrano essere gli unici parametri degni di nota.
I paesaggisti, invece, non li hanno dati ancora completamente per persi, inserendoli all’interno della lista degli “spazi aperti”, appellativo che nel linguaggio di settore ha ormai preso il posto della semplicistica e inadeguata definizione di “verde urbano”, e che indica tutti quegli spazi vuoti “entro cui può ancora aver luogo la riproduzione della vita animale e vegetale, sia spontanea che orientata” (Guido Ferrara, Giuliana Campioni, Tutela della naturalità diffusa, pianificazione degli spazi aperti e crescita metropolitana, Il Verde Editoriale 1998).
![SDC10733[3]](http://paesaggididecrescita.files.wordpress.com/2012/02/sdc107333.jpg?w=652)
Parcheggio: “spazio aperto” alla vita animale e vegetale (Foto: http://mammagiramondo.blogspot.com/2009/05/riquewihr-un-gioiello-tra-le-vigne.html)
Partendo allora dal presupposto che anche i parcheggi possono essere spazi vivi, molti sono i modi per tentare di riconcettualizzare il concetto di sosta, ripensando queste anonime aree come occasione per la costruzione di paesaggi urbani, di luoghi pubblici, di spazi di qualità anche dal punto di vista ambientale.
Un esempio ormai famoso è quello realizzato a Berlino dal Büro Kiefer , che ha fatto della ricerca della qualità attraverso la semplificazione, una delle caratteristiche fondanti del proprio lavoro di progettazione.
Nel disegnare un parcheggio comune a servizio di un condominio residenziale, i progettisti scelgono di aggiungere alla semplice funzione della sosta auto, quella del parco giochi, agendo per sovrapposizione temporale. Le due diverse funzioni sono consentite infatti grazie ad una successione degli usi nelle diverse ore della giornata. I residenti posteggiano la loro auto nel piazzale durante la notte, mentre di giorno il parcheggio si trasforma in campi di calcio, di pallavolo, in un variopinto tabellone di gioco. La dicotomia giardino/autorimessa, gioco/parcheggio che affligge spesso urbanisti e amministratori, viene così ricomposta in un progetto che rifugge gli stereotipi, ricombinandosi in continue forme di contaminazione spaziale e temporale.
Il paesaggista francese Michel Desvigne ha ampliato ulteriormente la dignità paesaggistica di questi spazi, prospettando l’inserimento all’interno de “La charte des paysages” del Piano del Verde di Bordeaux, di una sezione dedicata esplicitamente ai parcheggi. Secondo questa visione, le aree (esistenti o future) adibite alla sosta delle auto, dovranno essere sistematicamente alberate, secondo schemi adattabili ai diversi luoghi, così da costituire veri e propri “micro-paesaggi”, e divenendo parte integrante del “sistema dei parchi urbani”.
Negli Stati Uniti, la fusione dei parcheggi con il concetto di rain garden, ha ulteriormente dilatato il concetto di qualità per le aree di sosta aggiungendo alla valenza paesaggistica, quella ambientale.
I rain gardens sono superfici verdi realizzate in piccole depressioni del terreno utilizzando specie autoctone, e costruite in modo tale da poter ricevere le acque piovane da superfici impermeabili quali tetti, strade, marciapiedi, ecc… rallentandone la corsa, evitando il ruscellamento e permettendone il riassorbimento graduale da parte del terreno.
L’utilizzo dei rain gardens per le aree a parcheggio, negli Stati Uniti è stato oggetto di numerosi studi e ricerche da parte di Università e dell’EPA (United States Environmental Protection Agency), che hanno dimostrato l’ estrema funzionalità di questi particolari giardini nella gestione delle acque piovane.
I rain gardens si sono inoltre dimostrati preziosi per il miglioramento dell’inquinamento delle acque urbane, in quanto riescono a filtrare gli inquinanti (benzina, oli, idrocarburi, metalli pesanti) spesso presenti sulle superfici a parcheggio, migliorando la qualità dell’acqua che ritorna alla falda.
Rinunciando a qualche metro quadrato di sosta, è quindi possibile trasformare i parcheggi urbani in spazi belli e in luoghi utili, non solo per i proprietari di auto.
ReThink a Lot, dunque, in attesa di iniziare ad applicare al tema altre più importanti e impegnative “R”: ridurre, rivalutare, ristrutturare…
