Da decenni l’urbanistica sta cercando di fare i conti con la cronica mancanza di spazi aperti in ambito urbano, incapace di abbandonare realmente una stagione funzionalista interessata più a occupare il territorio, che a dare spazio .
Oggi la crisi che stiamo vivendo ha sferrato un ulteriore colpo ad un altro aspetto legato allo spazio aperto: quello relativo al suo essere “pubblico”, inteso sia nell’accezione di servizio garantito alla cittadinanza attraverso risorse pubbliche, sia di luogo della comunità, aperto a tutti.
La crisi finanziaria e la relativa mancanza di risorse, a cui si legano conseguentemente una scarsa manutenzione, l’abbassamento della qualità, e l’aumento dell’insicurezza sembrerebbero dunque avere già scritto il requiem per lo spazio pubblico, travolto dall’impossibilità/incapacità delle amministrazioni di gestire, mantenere e valorizzare il proprio patrimonio, così come di immaginare e progettare il suo futuro.

(Illustrazione di Roberto Innocenti, http://principieprincipi.blogspot.it/2011/08/cappuccetto-nelle-periferie.html)
Ma come spesso accade nei sistemi complessi, i momenti di perturbazione, le “crisi” possono portare il sistema alla morte, travolto da disordine e caos, così come spingerlo invece verso stadi di ordine superiore, attraverso quel fenomeno denominato “autorganizzazione”.
Come la Teoria del Caos ci insegna, infatti, i momenti di crisi, di instabilità, se saputi sfruttare e gestire, spesso si rivelano importanti spunti di creatività e di crescita.
Un cauto ottimismo può quindi farci interpretare così il moltiplicarsi di esperienze che spontaneamente, nei più diversi luoghi e contesti, tentano di trasformare questa crisi, imposta e subita, in scelta consapevole di decrescita: trasformando uno stato d’animo (e di fatto) negativo, in una risorsa.
Facendo ricorso alle “8R” di Latouche, proviamo allora a dare spazio ad alcuni interessanti esperimenti in cui lo spazio aperto è divenuto luogo condiviso di dialogo e di sperimentazione di nuove forme di progetto e di partecipazione (e forse non sembrerà più un caso che alcuni degli esempi più interessanti arrivino proprio dalla Grecia! http://popupcity.net/2013/04/three-inspiring-examples-of-greek-crisis-urbanism/).
Riciclare
Il primo esempio riguarda il riuso di 2100 bottiglie di plastica come arredo per la recinzione di una scuola elementare. Nella città di Chania, sull’isola greca di Creta, lo studio ateniese di architettura Kollektivemind *, ha infatti riunito alunni, genitori e insegnanti attorno ad una installazione semplice e “interattiva”, in un quartiere periferico della città.

(Immagine di Kollektivemind *, http://kollektivemind.com/project-argallios/)
Il progetto è stato denominato “Argallios”, nome che deriva dalle parole greche αργαλειός (telaio) e la αλλιώς avverbio, che significa “in modo diverso”. Reinterpretando infatti la tradizione locale dei decori sulle stoffe, la comunità è stata chiamata a realizzare un disegno sulla rete di recinzione, usando bottiglie di plastica riciclate e colorate, dando così vita alla riqualificazione dell’immagine, anche simbolica, dell’area intorno alla scuola, che è divenuta un punto di riferimento dal significato ecologico e culturale, per l’intero quartiere.

(Immagine di Kollektivemind *, http://kollektivemind.com/project-argallios/)

(Immagine di Kollektivemind *, http://kollektivemind.com/project-argallios/)
Ricontestualizzare/Rilocalizzare
E’ tipica di ogni periodo di crisi (guerra, recessione, ….) la riscoperta del valore economico degli orti. Le categorie più deboli possono infatti trovare nella coltivazione di un piccolo appezzamento di terreno un aiuto concreto ed una integrazione al bilancio familiare.
Il nuovo regolamento sugli orti approvato lo scorso marzo dalla città di Torino, prova però ad andare oltre, attribuendo a queste aree non solo un valore economico, ma anche di presidio contro il consumo di suolo e di importante occasione per fare comunità.
Il regolamento si prefigge infatti di superare le esperienze precedenti rivolte alla mera esigenza di regolarizzare le coltivazioni abusive, e cerca di valorizzare i cambiamenti culturali avvenuti negli ultimi anni, per promuovere la socialità e la partecipazione dei cittadini, sostenere la produzione alimentare biologica e le specie orticole tradizionali, favorire la coesione e il presidio sociale, sottrarre i luoghi alla marginalità e al degrado.

La semina delle patate al parco del Valentino, Torino, 16 marzo 1941 (Foto Archivio Storico della Citta’ di Torino, http://www.comune.torino.it/archiviostorico/mostre/tavola_2004/pannello3.html)
In particolare, rispetto ai modelli precedentemente adottati, il nuovo regolamento:
- consente di estendere a diverse categorie di persone la possibilità di assegnazione di un lotto (non solo “orti sociali” ma anche “orti di prossimità”);
- permette di recuperare dal degrado alcune aree verdi incolte, su proposta degli stessi cittadini;
- stimola una forma di restituzione che non sia solo il pagamento di un canone economico ma si basi sulla valorizzazione della dimensione relazionale con finalità pedagogiche, didattiche, terapeutiche e sociali.
Oltre alle pratiche tradizionali, dunque, il nuovo regolamento ha riconosciuto il valore comunitario degli orti, prevedendo una maggiore condivisione nella gestione e manutenzione, a partire degli spazi a comune, e promuovendone il ruolo di tutela del paesaggio e del suolo.
Riutilizzare
Illuminare i tempi bui della crisi è stato l’obiettivo del progetto dello studio ateniese “Beforelight” e della organizzazione non-profit “Imagine the city”, che ha coinvolto il quartiere quartiere Monastiraki, nel cuore di Atene, colpito duramente dalla crisi e divenuto zona insicura e degradata.
Il progetto “Under a different light” ha infatti messo a punto un tentativo di micro-riqualificazione di alcune strade urbane, tra cui la Pittaki, attraverso il coinvolgimento della popolazione, nel tentativo di ridare luce allo spazio pubblico, in senso sia letterale che metaforico.

(Immagine di Beforelight, http://www.beforelight.gr/ )

(Immagine di Beforelight, http://www.beforelight.gr/ )
Sono state quindi raccolte vecchie lampade, riparate e riadattate durante un workshop pubblico allestito in un vecchio negozio abbandonato, e riutilizzate per una installazione luminosa lungo le strade del quartiere. Il risultato è stato quello non solo di creare una nuova atmosfera in aree degradate della città, ma anche i di riunire la comunità intorno ad un progetto, per ridare speranza, e guardare sotto una diversa luce il futuro, contrastando il buio della crisi.
Rivalutare/Ristrutturare/Ridistribuire
Rendere Todmorden la prima città Britannica autosufficiente dal punto di vista alimentare entro il 2018, è l’ambizioso progetto dall’evocativo nome di “Incredibile Edible”, nato ormai più di cinque anni fa nel nord dell’Inghilterra.
Un gruppo quasi tutto di donne le fondatrici, che riunite attorno ad un tavolino del “Bear Cafe” hanno deciso di cambiare il mondo. Come sostiene infatti Mary Clear, leader del gruppo, “quando gli uomini bevono, nei bar succedono sempre casini e risse, invece quando sono le donne a riunirsi insieme a bere un caffè succedono solo belle cose” (http://lospiritodeltempo.wordpress.com/2012/01/07/la-storia-del-paese-che-coltiva-tutta-la-sua-verdura/).

(Incredibile Edible, Todmorden http://www.incredible-edible-todmorden.co.uk/)
Tutto è iniziato però quando Pamela Warhursth ha aperto il suo orto di casa invitando i passanti, tramite cartelli, ad entrare per cogliere frutta e verdura. Dopo cinque anni “passeggiando tra le strade di Todmorden ci si può imbattere nelle coltivazioni di patate alla stazione di polizia, in orti di broccoli alla stazione dei treni, ma anche in aiuole con lamponi, mele e albicocche lungo il sentiero del canale, oppure fagioli e piselli fuori dal college, o ciliegie nel parcheggio del supermercato, ribes rosso e fragole dietro uno studio medico, timo, finocchio, rosmarino e menta vicino l’ospedale” (http://www.ecologiae.com/incredible-edible-orto-cittadino/52324/). Tutto gratis: le verdure sono lì per essere raccolte da chiunque.
La rivoluzione gentile delle signore reagisce dunque alla crisi aumentando “la quantità di cibo coltivato e prodotto in loco come mezzo di sostentamento per tutti, di opportunità di lavoro e di sviluppo sostenibile”, coinvolgendo “le imprese, le scuole, gli agricoltori e la comunità. Le aiuole pubbliche vengono trasformate in orti e frutteti. Intorno alle scuole , alle case di riposo e un po’ dappertutto, ove possibile, fanno crescere frutta e verdure”, nella convinzione che rendere accessibile al pubblico cibo sano e locale possa arricchire in tutti i sensi la comunità.

(Incredibile Edible, Todmorden http://www.incredible-edible-todmorden.co.uk/)
“Così mentre i governi parlano dall’alto di ciò che si potrebbe fare e di ciò che non si potrebbe fare, noi cerchiamo di fare la differenza partendo dal basso” (http://www.valtermina.it/index.php?option=com_content&view=article&id=178:benvenuti-a-todmorden&catid=43:varie&Itemid=64).
Oggi Incredibile Edible è un modello in continua espansione: solo nel Regno Unito si possono contare quaranta comunità e più di cento nel resto mondo, dal Canada alla Nuova Zelanda. Da poco è sbarcato anche in Italia, dove a San Bonifacio in provincia di Verona ha iniziato la sua attività con il nome di Incredibili Commestibili.
Ogni comunità è diversa per azioni e organizzazione, ma tutte sono unite dalla stessa convinzione di poter migliorare il mondo promuovendo l’accesso al cibo locale (http://incredibleediblenetwork.org.uk/)

Incredibile Edible nel mondo
http://partecipactive.files.wordpress.com/2013/01/incredible-edible-nel-mondo-via-partecipactive-20131.jpg
La crisi, dunque, distruggerà noi, le nostre comunità, i nostri spazi? Forse, per come oggi li conosciamo.
Ma rappresenta anche una occasione per riconsiderare le nostre convinzioni e i nostri modelli, che mette in evidenza ciò che Sun-Wu, il maestro della guerra, chiamerebbe il potenziale nascosto in ogni situazione.
Sta a noi riconoscerlo e scegliere o meno di sfruttarlo.
